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Carlo Iacomucci: il ricordo nel segno – Macerata – dal 3 al 20 settembre 2009

mostra MacerataDal 3 al 20 settembre 2009 la galleria Antichi Forni, nel cuore del centro storico di Macerata, ospiterà la mostra Carlo Iacomucci: il ricordo nel segno, personale dell’artista Carlo Iacomucci promossa Comune, Provincia e Regione Marche con la collaborazione dell’Accademia Georgica di Treia, dell’Accademia dei Catenati di Macerata e della fondazione Il Pellicano Trasanni di Urbino ed il patrocinio dei Comuni di Urbino e Treia.

L’esposizione, curata dal critico Lucio del Gobbo, propone l’ultima produzione dell’artista, urbinate di nascita ma maceratese d’adozione. Sessanta disegni originali in bianco e nero, realizzati con la penna china dal 2005 ad oggi.

Sono opere che esprimono un forte potere di sintesi tra due aspetti apparentemente antitetici: la composizione di simboli ispirati dalla tradizione umanistica – quella urbinate, in particolare, dove l’artista si è formato alla scuola del Libro – e l’inclinazione alla libertà di espressione e di reinterpretazione di tali simboli e memorie. “Ne consegue un derivato emozionale personalissimo, una sorta di impressionismo catturato e rivissuto a livello psicologico oltre che visivo”, come afferma il curatore della mostra nel testo critico in catalogo.

Volti senza identità, monumenti, architetture, alberi umanizzati, alberi della vita, come ama definirli l’autore stesso. Immagini che assecondano la sensazione e ad essa succedanei a livello simbolico Vi affiorano ricorrenti, foglie e petali in movimento, aquiloni di pascoliana memoria oscillanti nel cielo quali immagini di vento e di vuoto, frammenti di storie tanto libere da offrirsi ad una lettura indiscriminata ed universale. In esse, il segno smarrito sembra ritrovare il suo filo e diventare racconto.

È il caso appunto – sottolinea Lucio del Gobbo – di questa raccolta di disegni che idealmente fiancheggiano l’incisione e la pittura di Carlo Iacomucci. Essi, pur affidandosi a una memoria che emerge per schegge su stimolo di situazioni contingenti, tendono a costituirsi in sequenza narrativa e ad indicare una morale dichiaratamente positiva, anche se priva di retorica. Una storia figurata che assume insieme la corrosività del fumetto e la dignità dell’opera che non rinuncia alla sua intrinsicità, proprio in virtù dell’innata capacità di Iacomucci ad esprimere con leggerezza quello che leggero non è”.

La mostra, corredata di un catalogo con testo critico di Lucio del Gobbo e testimonianze di Alessandra Sfrappini e Massimiliano Bianchini rispettivamente dirigente e assessore alla cultura di Macerata, sarà inaugurata giovedì 3 settembre alle ore 17.30 alla presenza dell’artista e si potrà visitare tutti i giorni dalle 10 alle 12.30 e dalle 17.00 alle 20,00 escluso il lunedì.

CARLO IACOMUCCI: IL SEGNO AMICO

Carlo Iacomucci, nella sua ormai quarantennale esperienza artistica, ha dimostrato di saper armonizzare e far convivere due sue connaturate attitudini, che in genere vengono considerate antitetiche, e cioè la capacità di esprimere una poetica in forma araldica e monumentale, attraverso una composizione di simboli che celebrano e definiscono fondamentali richiami (nella fattispecie i valori della tradizione umanistica, e di quella urbinate in particolare) e la contemporanea inclinazione  ad esprimere  una libertà che svincola il monumento dal suo pondus, rendendolo mobile, volatile, diafano, capace insomma di assecondare inquietudini, fantasie, suggestioni che proprio dalla vaghezza immaginifica acquistano capacità poetica e verità. L’artista ha anche voluto edenziarla in una sua pubblicazione recente, tutta riferita ad opere su carta, e che nel titolo evoca spazi intesi come “luoghi di assenza”, disponibili  e diversamente abitabili, questa qualità lirica e intimista, capace di ricondurre a sé attimi che fuggono: un alfabeto che dà voce al  passato  e al presente, che di essi raccoglie frammenti  che pur nella loro indefinitezza attraggono e  sollecitano una confidenza.

Si nota sempre più evidente in Iacomucci questa inclinazione di libertà: come una volontà semi-inconscia di estrapolare dal ricordo, da una memoria che è  riconducibile ad eventi reali, variamente collocati nel tempo e che non escludono il  presente, un derivato emozionale personalissimo, e conservarne sensazioni subliminali eccezionalmente resistenti: una sorta di impressionismo catturato e rivissuto a livello psicologico oltre che visivo.

Come altri artisti originari di Urbino, Iacomucci ha avuto ed ha l’opportunità, col filtro di una storia memorabile, di pensare a quella patria vivendo in altro luogo, osservandola con un occhiale diverso. La distanza non ne offusca la visione, anzi la ravviva, innalzandola a una dimensione poetica, quasi metafisica. Urbino più che una città è un luogo di poesia, tale l’ha definita Carlo Bo in vari suoi scritti (ed era egli un uomo che aveva scoperto il luogo da oriundo, arrivandoci), cioè uno spazio non soggetto a confini, né connotato solo da vicende lì determinatesi, ma teatro di provvidenziali convergenze ed unioni, di arte e natura, di realtà e fantasia,  di storia e bellezza.

Le Marche, e la stessa provincia maceratese devono molto alla città feltresca e alla sua rinomatissima Scuola, per le connessioni più o meno dirette che con essa si sono stabilite.  Una scuola d’arte che ha superato il secolo di vita, che da sempre si qualifica e si alimenta per effetto di un provvidenziale ibridismo. Forse (è un’ipotesi che si aggiunge ad altre gà condivise),  l’hanno chiamata Scuola del Libro per far sì che l’arte beneficiasse appieno di una sorta di ecumenismo culturale: il libro, strumento principe d’ogni cultura, più che un oggetto fisico è un contenitore ideale, dalla capienza illimitata e illimitabile, un trait d’union insostituibile tra scienze di pensiero e voli di spirito.   Quasi spontaneamente, quella tecnica incisoria che s’era data incarico di riprodurre e rendere maggiormente fruibili i capolavori della pittura, si è imposta nella Scuola come disciplina qualificante di un luogo che più di ogni altro nelle Marche rappresenta la cultura umanistica e rinascimentale.

Ebbene la ricerca di Iacomucci si collega da sempre a questa storia, intende restarne intimamente unita rivendicando attraverso essa anche una provenienza artigianale di alto livello, e in qualche modo idealizzandola, per una conduzione spirituale e di affrancamento poetico. Il suo segno è gestuale, dinamico, fluttua tra l’immagine e la sua rarefazione, tra l’immagine narrante e l’immagine significante. Piuttosto che tentativo esso è tentazione: d’immagine, appunto, e di sensazione. L’immagine stessa, esistendo, è liminare: asseconda la sensazione ed è succedanea ad essa a livello simbolico. Vi affiorano ricorrenti, foglie e petali irrimediabilmente divisi dalla corolla originaria, ed aquiloni di pascoliana memoria oscillanti nel cielo, ribellati al filo che li ancora: sono immagini di vento e di vuoto; frammenti di storie tanto libere da offrirsi a una lettura indiscriminata, a vocazione universale; residui di memoria che sfuggono a una volontà costrittiva emarginante. In esse, il segno smarrito sembra ritrovare il suo filo e diventare racconto.

È il caso appunto di questa raccolta di disegni che idealmente fiancheggiano l’incisione e la pittura. Essi, pur affidandosi a una memoria che emerge per schegge su stimolo di situazioni contingenti, tendono a costituirsi in sequenza narrativa, ed indicare una morale dichiaratamente positiva, anche se priva di retorica.

Il disegno vi si impone come strumento linguistico autonomo. L’autore avrebbe voluto farne nucleo esclusivo della mostra (sessanta disegni, come i suoi anni), poi, tenuto conto delle dimensioni del contenitore che la ospita, ha pensato di “incastonare” la raccolta in un corollario di opere che può considerarsi rappresentativo di tutta la sua esperienza artistica, immergendo e quasi stemperando la ieraticità del bianco e nero in una rappresentativa articolata che documenta le origini e le aperture della ricerca nella sua complessità e ricchezza.

Ma è  quel nucleo di disegni che dà il titolo alla mostra e ne costituisce il catalogo. L’apparente ripetitività dei soggetti nasconde simboli e numeri che trovano fondamento nella sfera più intima e nascosta dei sentimenti e dei ricordi: una sorta di riconsiderazione della propria storia, e la valutazione di quanta incidenza abbiano avuto, sia nelle scelte artistiche sia nelle vicende personali e familiari, quei valori che nei titoli e nell’immagine vi risultano evocati. Rappresentano un insieme di momenti emersi quasi per automatismo, come fotogrammi in sequenza, che anche dall’ordine in cui sono disposti trovano logica e continuità narrativa. Da quei volti senza identità – in cui tuttavia l’autore tenta di riconoscersi – scaturisce come una sacra conversazione; un’ostensione che “celebra” un’esperienza in cui relativo ed assoluto si intrecciano: l’innalzamento di una tradizione sapienziale di riferimento e il tentativo di una presa di possesso interiore. L’albero, che è un simbolo di vita, vi risulta umanizzato: al tempo stesso radicato in terra, a significare la memoria, ma ugualmente rivolto al cielo che gli promette sentimento e spirito.

Proprio in virtù di quella accennata capacità di esprimere con leggerezza ciò che leggero non è, questa storia figurata assume contestualmente la corsività del fumetto e la dignità dell’opera che non rinuncia alla sua intrinsicità. L’autore non se ne scandalizza; è troppo preso a inseguire contenuti che la rendono segretamente significante e reale a sé, per lasciarsi distrarre dalle problematiche della forma. Con la stessa libertà da cui nasce egli la indirizza a un’amicizia disponibile a condividerne suggestioni e valori. Lucio Del Gobbo

Biografia

CARLO  IACOMUCCI è nato a Urbino nel 1949, vive e opera Macerata . Nella sua città natale riceve la prima formazione artistica presso l’Istituto Statale d’Arte meglio conosciuto come “Scuola del Libro”.  Negli anni 1969 e 70 vive a Roma dove, frequenta  stamperie d’arte, studi e ambienti artistici; matura quindi la passione per l’incisione e, in modo particolare, per l’acquaforte.  L’interesse per l’incisione è tale da indurlo ad iscriversi  al Corso Internazionale della Tecnica dell’Incisione Calcografica tenuto a Urbino dal Prof. Walter Piacesi.  La necessità di approfondire lo stimola a frequentare poi la sezione di pittura dell’Accademia di Belle Arti ad Urbino.  Nel 1973  dopo due anni di frequenza, lascia l’Accademia di Urbino per l’Accademia di Belle Arti di Lecce.  Dal 1974 al 1985 opera a Varese dove insegna Figura Disegnata presso il locale Liceo Artistico Statale.  Fa parte dell’Associazione Liberi Artisti della Provincia di Varese e scambia utili esperienze con altri artisti che gli permettono di approfondire il suo impegno artistico, e contemporaneamente partecipa a numerose mostre ottenendo riconoscimenti che lo spingono ad intensificare la sua ricerca sia nel campo pittorico che in quello dell’incisione.

Dal 1985 al 2008 è titolare della cattedra per l’insegnamento di Discipline Pittoriche (Disegno dal Vero ed Educazione Visiva) presso l’Istituto d’Arte di Macerata. Numerose dal 1972 ad oggi le mostre personali tenute in Italia e all’estero. Le sue opere sono conservate in collezioni pubbliche e private. [web site: www.carloiacomucci.it]

Scheda mostra

Titolo mostra: Il ricordo nel Segno
Artista: Carlo Iacomucci
Opere: 60 disegni originali dal 2005 al 2009
A cura del critico: Lucio Del Gobbo
Catalogo coord. editoriale: Anna Pisani
Luogo: Galleria Antichi Forni – Macerata
Inaugurazione: Giovedì 3 settembre, ore 17,00
Durata: Dal 3 al 20 settembre 2009
Orario: Tutti i giorni – 10,00/12,30 .17,00/20,00
Info: Tel. 320.0361833 – 0733.233984

Scritto da Redazione

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